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Intervista a Giancarlo Andretta

a cura di Andrea Oddone Martin

   
 
  Giancarlo Andretta ha iniziato gli studi di pianoforte e organo a Venezia e ha studiato composizione con Bruno Pasut, continuando la sua educazione all'Accademia di Musica di Vienna studiando anche direzione d'orchestra con Otmar Suitner; si è sempre diplomato con il massimo dei voti ed è stato insignito di vari premi (fra gli altri, l'Austrian Würdigungspreis nel 1989).
Si è distinto come assistente musicale in molte produzioni operistiche alla Wiener Konzerthaus, all'Opera di Bastiglia a Parigi, alla O.R.F. di Vienna e per importanti etichette discografiche quali la Deutsche Grammophon; ha inoltre collaborato con i più importanti direttori e cantanti del nostro tempo.
 

Dal 1994 al 1997 è stato direttore principale all'Opera di Graz, successivamente direttore dell'Orchestra Filarmonia Veneta e, dal 1996 al 2003, direttore artistico dell'Olimpico di Vicenza. Dal 2003 è direttore dell'Aarhus Symphony Orchestra. Nella primavera del 2005 è stato nominato professore di direzione d'orchestra alla Royal Academy of Music a Copenhagen.
Giancarlo Andretta ha diretto nei teatri di tutta Europa (Venezia, Roma, Napoli, Vienna, Berlino, Dresda, Monaco, Copenhagen, Stoccolma, Oslo, Lisbona, Göteborg, Praga, Atene) e tiene regolarmente delle Masterclasses di direzione orchestrale.

Quando ha conosciuto il Maestro Bruno Pasut?

All'inizio dei miei studi col Maestro Pasut ho avuto pochi contatti, perché non sono trevigiano. Sono nato in un paese molto piccolo. Una frazione di Rossano Veneto, sotto Bassano del Grappa, Mottinello. Generalmente non lo nomino perché mi dicono “dov’è ’sto Mottinello?” E allora dico Rossano, Bassano. Io comunque sono originario di quelle parti. Sono trevigiano di adozione. Tra l’altro, dopo anni scelsi di tornare qua per la famiglia. Il mio lavoro si è sviluppato subito in maniera molto forte all’estero. Sono stato via molto tempo.

Sì sì, un po’ mi sono informato e ho visto che l’attività prevalente…

L’attività prevalente in questi ultimi anni si è radicata soprattutto nei Paesi scandinavi anche perché ad Aarhus, la seconda città in Danimarca, c’è una grossa orchestra sinfonica, una delle grandi orchestre del nord. Quest’anno inizio l’ottavo anno come direttore. Dopo l’Opera Reale come primo direttore ospite.
Poi è stata la volta dell’Accademia Reale di Copenhagen: là, diciamo, ho preso questa cattedra di direzione d’orchestra. La prossima stagione comincerò anche come direttore principale a Göteborg. Stoccolma e Göteborg sono i due grossi teatri svedesi e, anche se Stoccolma allestisce più produzioni, tra noi artisti è conosciuta per una qualità inferiore. A Stoccolma ci sono due orchestre di base come a Göteborg, l’orchestra della radio e l’orchestra dell’opera, mentre a Göteborg c’è l’orchestra dell’opera, sotto la mia responsabilità, e l’orchestra sinfonica dove prima c'era Järvi e ora c’è Dudamel. Anche Aarhus, ad esempio, è un ambiente molto, molto buono, e così sono stati anche i miei predecessori, grandi maestri. Quando sono arrivato io ho capito subito che avevo a che fare con una bella orchestra.

Ma come mai è andato subito a lavorare fuori dall’Italia?

Beh, tra l’altro il Maestro Pasut è stato uno dei motivi.
Quando ho studiato composizione con lui – un’estate, l’estate del diploma in organo – per curiosità e non per studiare direzione d’orchestra sono andato ad un corso di Franco Ferrara e sono stato lì proprio per divertirmi, dato che per me l’orchestra era uno strumento completamente sconosciuto. Anche perché io vengo da una famiglia molto semplice: mio papà lavorava in miniera, quando era giovane è stato in Australia come emigrato, poi è tornato e ha fatto il camionista; mia mamma era casalinga. Quindi non avevo la possibilità di frequentare teatri. Vicino c’era Treviso o anche Venezia, ma non c’erano autobus a Mottinello per poterle raggiungere.
Ci sono state dunque all’inizio difficoltà reali, pratiche, poiché ero in un ambiente completamente al di fuori della musica e il fatto di seguire questo corso di direzione d’orchestra era proprio per curiosità, per sapere di più, perché ovviamente un direttore d’orchestra studiava un repertorio che, come pianista od organista o studente di composizione, non si affrontava e quindi io non conoscevo proprio l'orchestra. Per questo sono andato a questo corso. Ferrara sembrava voler far dirigere gli uditori. Era luglio o agosto, era estate. Il Maestro Ferrara aveva preso il premio a Venezia Una Vita per la Musica in settembre e poi subito dopo è morto. Allora gli ultimi due giorni voleva veder dirigere gli uditori. Io dissi subito no, non l’ho mai fatto in vita mia, no! Era un’orchestra polacca e un assistente del Maestro mi disse che chi era lì ed era iscritto ed aveva assistito doveva assolutamente dirigere. E così ho dovuto farlo. Era il primo movimento dell’Incompiuta di Schubert. È stato abbastanza strano: quando ho terminato questo movimento Ferrara ha battuto le mani e gli altri lo hanno seguito.

Ha notato di certo la stoffa.

E di quel momento ho un completo black out, non ricordo nulla, avevo una paura micidiale e non sapevo che cosa fare. E qui il Maestro Pasut ritorna subito… e mi dice «Ma dove hai studiato?» Io dico «Ma non ho mai studiato, mi avete obbligato a farlo...». «Guarda, guarda che c’è il Maestro che ti vuole parlare». Io vado dal Maestro Ferrara che mi ha preso e mi ha detto «Bravo! È la prima volta che lo fai in vita tua? E allora ci devi pensare seriamente» e così mi diede il suo indirizzo di Roma.
Avrei dovuto andare a casa di Ferrara, ma non ho fatto in tempo ad iniziare e quindi ho girato la domanda al Maestro Pasut. «Maestro cosa devo fare?» e lui mi consigliò di proseguire sicuramente, ma mi disse: «Adesso è tempo di andar via, non qua, non Milano, non Roma, via».

È stato lungimirante.

Allora mi sono informato e, dopo aver visto varie scuole, Vienna era quella che certamente rimaneva la più convincente: ho scelto una delle due cattedre e quindi sono andato a Vienna.
Quella decisione e quel momento in cui il Maestro mi disse di andar via e di non studiare qui, mi hanno portato all’estero e lì, prima di terminare gli studi, c’era un concorso per Maestro sostituto al teatro dell’Opera di Vienna: si liberava infatti il posto di un Maestro francese che, tra l’altro, il Maestro Abbado aveva licenziato. Ho fatto il concorso, l’ho vinto.
Ho iniziato a lavorare all’opera, ed è stata la mia prima realtà professionale. All’opera tornava spesso Steinberg che era il direttore principale dell’Orchestra Sinfonica della Radio, mi aveva preso di “buon occhio” e quando tornava faceva in modo che a suonare e a seguire le prove e le produzioni ci fossi io. Poi mi ha portato alla radio. Terminai gli studi all’Accademia di Vienna piuttosto bene e ricevetti anche un premio dal Ministero della Cultura. In quel tempo suonavo ancora benino il pianoforte e l’ultima volta che ho suonato da solista, era lì, nella sala da concerti dell’Accademia.
L’ultimo anno di studi che ho frequentato – proprio quell’anno o l’anno dopo – hanno rivoluzionato il sistema di studio dell’Accademia. L’Alte-Studio Ordnung, in vigore dal 1920 circa venne sostituito con il Neue-Studio Ordnung, il nuovo ordinamento di studi.
Nel nuovo sistema le cose erano cambiate per i direttori d’orchestra: quando sono entrato io, ho fatto un concorso d’ammissione che poi è diventato un esame d’ammissione e siamo entrati in tre, nell’anno del nuovo ordinamento invece sono entrati in trenta. Questo in tutte le materie e quindi si sono trovati ad aver bisogno subito di insegnanti, così i miei ex insegnanti consigliarono l’Accademia di assumermi come professore ospite, Gast Professor, per pianoforte. Il pianoforte che dovevo insegnare era per i pianisti, per i direttori d’orchestra, per i compositori, con repertori quindi per chi studiava opera oratoria, e nella mia cattedra avevo persone che non avevano mai studiato pianoforte e persone già diplomate nei loro Paesi. Nel lavoro mi ero radicato benissimo.

Il consiglio di Pasut si era rivelato prezioso. Ma per la lingua come fece? Ci furono problemi?

All’inizio è stato un dramma. Parlavo un po’ di inglese, quello di uno studente italiano. Ma mi presero ugualmente. Hanno avuto pazienza. Va anche detto che, essendo italiano, quando ho iniziato l’Accademia non mi riconobbero alcun titolo: io avevo praticamente tre diplomi, ma… siccome lì il sistema era di tipo universitario, dopo un certo numero di ore di frequenza, in realtà si poteva chiedere di dare l’esame. La mia preparazione era piuttosto solida, quindi frequentavo, e quando avevo fatto un certo numero di lezioni e vedevo che ero pronto, davo l’esame; ma in ogni caso era una corsa ad ostacoli perché invece di concentrarmi solo su ciò che avrei dovuto fare, dovevo studiare di nuovo, ripetere ad un livello superiore. L’insegnante di solfeggio ad esempio, era straordinario, con lui era un solfeggio diverso però era sempre tempo che sottraevo al resto.
Vienna mi ha aperto molto l’ambiente di lavoro, innanzi tutto perché mi sono radicato molto bene in Austria, sono stato undici anni, tanti, ma c’erano anche decisioni che andavano al di là della musica. Ancora adesso non sono abbagliato dalla carriera o dal sistema, sono un musicista e se si lavora in un certo modo è quasi impossibile rimanere senza lavoro e questo ti dà anche una certa libertà. Però è stata una decisione molto forte quella di lasciare tutto e di tornare qua per la famiglia pensando anche al futuro. Ho avuto la possibilità di conoscere a fondo questo mestiere e di dirigere, direi, tutto: Mahler, Bruckner, Schönberg… tutto.

È stato allora determinante il Maestro Pasut nella sua indicazione, lungimirante.

Sì, ma lui non è stato determinante solo per quello.
Io ho una gratitudine, un rispetto e un affetto infiniti per Pasut. Quando l’ho conosciuto era diventato il direttore del Conservatorio di Castelfranco e andavo lì a studiare, perché da Mottinello era più comodo. Andare a Venezia era troppo complesso.
Ricordo ancora quando lui entrava in Conservatorio i commenti di rispetto di tutti nei suoi confronti. Quando entrava in classe e magari noi stavamo facendo lezione col Maestro di pianoforte o di storia della musica, si fermava un attimo e s’inseriva, chiedeva qualcosa, commentava o aggiungeva qualcosa. Io mi sono innamorato di lui, ad altri incuteva paura, ma io paura non ne avevo. Lo chiamavano “sa tùt”, Maestro Satùt non Pasut; era preparato su tutto, strumenti a fiato, archi, tutto.

C’è stato un trasporto iniziale insomma.

Sì, io sono rimasto subito colpito da lui come persona. L’ho identificato con ciò che per me un musicista doveva essere e quindi, quando ha lasciato il Conservatorio e io desideravo studiare composizione privatamente, l’ho cercato attraverso la figlia Gabriella. Allora non la conoscevo ma sono arrivato qua e ho semplicemente suonato il campanello. Però lui mi disse: “Sai, io non dò lezioni di composizione solitamente, ma portami qualcosa da far vedere”. Io gli ho portato dei lavori, romanze, fughe, contrappunti e lui mi ha accettato. Venivo ogni settimana per queste lezioni e naturalmente avrei dovuto pagare… beh, non sono riuscito a pagare una lira. Mi disse: “Guarda Giancarlo, quando ero giovane sono stato fortunato perché ho trovato delle persone che provenivano da una realtà ricca che mi hanno aiutato. Adesso io lo faccio con te”. Per questo io so che un domani devo fare la stessa cosa; lui mi ha insegnato moltissimo.
Inoltre, il livello del Maestro Pasut come musicista era straordinario… teniamo presente – io adesso ho 47 anni – tutto quello che ho realizzato, quello che non ho accettato, gli incontri che ho fatto; inoltre, moltissimi di quei volti che vediamo sulle copertine dei dischi sono persone che ho conosciuto direttamente, con cui ho lavorato e alcuni di loro, quand'erano un po’ più giovani, mi chiedevano di risolvere dei problemi nella produzione di opere o altro.
Quindi penso proprio che abbiano peso queste parole, questa testimonianza, perché noi parliamo di un musicista assoluto e di un uomo assoluto.
La prima prova del concorso di ammissione all’Accademia di Vienna era comporre una fuga a quattro e un corale fiorito in tre ore, senza pianoforte e tutti assieme. Allora, se calcoliamo che da noi abbiamo diciotto ore, a porte chiuse e col pianoforte, c’è una differenza abissale. Questa era la prima prova. Io ricordo quell’anno, le stanze 101 e 201 – due grandi stanze che in seguito avrebbero utilizzato per le direzioni d’orchestra – erano piene, ricordo almeno 150 persone, ricordo tutti quei tavoli e tavolini… perché il desiderio di studiare all’Accademia di Vienna era molto forte a livello mondiale. La concentrazione era difficile, adesso non sarei più capace di sostenere un esame in quel modo ma allora, grazie al Maestro Pasut, sono riuscito a farlo. Ho scritto una Fuga a quattro e scrivevo, scrivevo, scrivevo, ero abituato al fatto che il livello che il Maestro cercava di raggiungere era così alto che mi sentivo una macchina da guerra da questo punto di vista, quindi sapevo bene, ero cosciente di dove ero arrivato. Lui riusciva sempre a trovare qualcosa in più, sapeva aggiungere, sapeva creare una crescita.
Un altro aspetto è che, oltre a raffinare e a solidificare una tecnica, bisogna motivarla; inoltre ricordo quella volta in cui mi disse: «Giancarlo tre ore sono nulla. Quando hai fatto l’esposizione, breve lo sviluppo, dà più tempo agli stretti che allo sviluppo, guarda bene i secondi e vedi quanti ne hai. Non scrivere in brutta e poi in bella, scrivi con una matita leggera e poi ricavati il tempo di ripassarci sopra con la penna. Non fare due copie, datti la possibilità di cambiare una nota se vuoi». E poi, Corali fioriti ne abbiamo fatti tanti col Maestro e… insomma sono riuscito a far tutto.

Il Maestro Pasut l’ha proprio seguito in ogni fase.

Se sono entrato in Accademia è merito suo al 100%. Perché c’è anche un altro aspetto, ed è la sicurezza; per tentare l’impossibile, uno deve essere certo di potercela fare in qualche modo, se manca la fiducia in sé stessi, appena c’è un attimo di debolezza è fatta. Ma io ero sicuro di quello che sapevo, sapevo di potercela fare perché mi ero esercitato anche qui a ridurre, ma senza di lui non ci sarei riuscito.
In seguito abbiamo continuato questo rapporto.
Un altro aspetto incredibile dei pomeriggi in cui stavamo insieme, era che, beh, il nostro scopo era la composizione nei vari aspetti che sono collegati a questo studio, però un argomento focalizzato della composizione per lui era il pretesto per allargare in modo enciclopedico il sapere e questa era un’altra ricchezza enorme soprattutto per un musicista.
Io adesso insegno direzione d’orchestra, quello che sto facendo è serio perché la direzione d’orchestra si esprime attorno a noi in modi molto strani: intendo dire, un chirurgo prima di avere un paziente sotto le mani deve testimoniare un determinato tipo di studio, di specializzazione, di esperienza, ma le orchestre e il sistema che ci sono in giro non richiedono la stessa severità e preparazione, per cui uno s’inventa in molti modi di dirigere. Questo per sostenere l'importanza dello stimolo, dell’esempio di avere un argomento che non è a sé stante ma è fondato su una varietà di altre relazioni, di links, di influenze che derivano da altre arti, da altre situazioni, da altri saperi. Adesso, quando insegno direzione d’orchestra, affermo che uno dei punti fondamentali che deve andare avanti insieme allo studio della partitura, dell’analisi e tutto il resto, è quello di raccogliere il maggior numero di informazioni attorno alla partitura, al compositore, al suo tempo, quindi c’è sempre un lavoro di ricerca e questo mi deriva sicuramente dall'impostazione che il Maestro mi ha dato.
Perciò, quello che lui mi ha dato non è quello che il Conservatorio mi ha dato.

Si tratta di un atteggiamento complessivo.

Sì, il Conservatorio era solo un aspetto.

Ma allora è stata una lunga frequentazione.

Mah, diciamo che come studente ho visto il Maestro in maniera regolare per più di due anni: c’era un rapporto molto forte tra noi, una sintonia umana molto molto forte. Io ho avuto la fortuna di parlare con lui della vita. Siamo rimasti in contatto, mi seguiva parecchio, voleva essere informato, voleva sapere. Quando c’era qualcosa lo chiamavo, gli telefonavo, anche perché non vivevo in Italia, ero qui solo in estate e per anni neppure in estate perché, lavorando all’Opera di Vienna, ho iniziato ad andare al Festival di Salisburgo, quindi terminavo l’ultimo giorno di giugno e il primo di luglio già iniziavano le prove di là. Per due mesi e, appena finivo a Salisburgo, il giorno dopo iniziavo di nuovo a Vienna. Era la vita dei Wiener Filarmoniker che si spostavano e io sono andato sempre con loro: in quegli anni suonavo il clavicembalo, la celesta, il pianoforte, l'armonium solo che loro arrivavano dopo dieci giorni, una settimana ma io, seguendo le produzioni d’opera e lavorando con i cantanti, lavoravo dal primo giorno. Questo è stato per quattro anni. Quando ho lasciato Vienna ho lasciato l’Austria. Poi in estate ho cominciato a prendere anche altri lavori perché volevo conoscere altre realtà.

Sempre all’estero comunque. E l’ambiente italiano?

Lo conosco molto poco. Sono entrato in contatto con l’ambiente italiano a Venezia quando c’era il Professor Messinis. In quegli anni ricoprivo il ruolo di Direttore principale dell’Opera di Graz e avevo 33 anni. Una delle doti infinite del Professor Messinis è la libertà intellettuale, poiché è un uomo che sa e non ha bisogno di sentirsi legato o appoggiato, è libero. E a quel tempo senza agenti, senza nulla, mi disse: “Senti Andretta, quando fai qualcosa di non troppo lontano, dimmelo che vengo a vederti”. È venuto a un concerto e dopo mi ha detto: “Senti, cosa fai a gennaio del prossimo anno?” Aveva in programma La gazza ladra e da allora il mio contatto con l’Italia è stato il Professor Messinis e Venezia, fino a che c’è stato lui. Dopo, cambiata la sovrintendenza, è cambiato tutto come succede qui da noi in Italia.
L’altro contatto con l’Italia sono i musicisti della nostra terra, la Filarmonia Veneta, Vicenza, eccetera, mi conoscevano perché siamo sempre stati amici e anche a Bassano quando è nato quel festival mi seguivano, mi hanno aiutato, mi hanno dato la possibilità di dirigere; io ho lavorato con questi musicisti, con queste orchestre e da qui sono nate le simpatie, si sono accorti che avevo le spalle solide e dunque il contatto con loro si era creato.
La Filarmonia dall’anno prima che succedesse il patatrac, Vicenza attraverso Bassano; Meneghini di Vicenza mi aveva contattato un giorno a Vienna perché doveva fare un concerto alla Fondazione Cini e cercava un’orchestra di cui fidarsi… magari dei nostri, giovani, mi disse che aveva saputo di me e così ho avuto il contatto con Vicenza; quando il Maestro non ha più proseguito a Vicenza, li ho aiutati in quegli anni e quindi sono certamente riuscito a far del bene. Poi, anche per una visione un po’ diversa del modo di gestire la situazione, ho ritenuto giusto lasciarli proseguire per la loro strada ed è normale che sia così perché le nostre esperienze, la nostra forma mentis sono per forza diverse ed ho rispettato le loro scelte.
Un’altra esperienza italiana è che ho conosciuto il Conservatorio italiano perché mio padre era malato e, siccome io non ho fratelli né sorelle, sono tornato. Avere una persona che rispetti e che ami e che sta male… non me la sentivo più di stare in giro, così ho chiuso con diverse cose, anche con Vienna e, guarda caso, avevano indetto un concorso per insegnamento di direzione d’orchestra. Diversi anni fa hanno fatto diversi concorsi per tutte le graduatorie per tutti gli strumenti. Io allora feci quello per direzione d’orchestra e arrivai secondo nella graduatoria nazionale, però i posti erano nel nord a Milano, Bologna e Padova. Ci hanno chiamato a Roma per l’assegnazione delle cattedre. Avevo allora 36 anni, ero giovane ma avevo tantissimi titoli, avevo diretto all’Opera di Berlino avevo fatto molte, molte cose. Il primo in graduatoria era già di ruolo e così hanno tirato una linea rossa e io sono diventato il primo e mi hanno chiesto dove volessi andare. Io risposi Bologna, ma l’insegnante di Bologna era solo in permesso, mentre a Milano la cattedra era vacante perché l’insegnante, che si chiamava Taverna, era andato in pensione. Comunque sono riuscito ad andare a Bologna per alcuni mesi e dopo mi hanno trasferito a Milano. Probabilmente se avessi avuto la possibilità di rimanere a Bologna, forse il futuro sarebbe stato diverso.

Come mai?

Perché a Bologna c’era il Maestro Carrisi come direttore. Ho avuto la possibilità di seguire mio padre, sono riuscito a insegnare in Conservatorio, mi trovavo bene. Mentre a Milano c’era il Maestro Salvetti, io ero l’ultimo arrivato, ero vincitore di un concorso nazionale e Milano era un ambiente diverso, anche gli studenti erano diversi.
Mio padre nel frattempo era morto e io avevo dei contratti, tra l’altro ad Aarhus per il Requiem di Verdi. Cercavo di mettermi in contatto con il Maestro Salvetti per sapere anche come gestire tutto questo, come fare, perché comunque dovevo andare in Conservatorio due giorni a settimana. Ho chiesto diverse volte d’incontrarlo senza mai riuscirci, finché sono arrivato al limite e sono stato costretto a decidere in che direzione andare. Ho lasciato il Conservatorio e in quell’occasione ho sentito finalmente la voce di Salvetti al telefono perché aveva ricevuto la mia lettera di licenziamento e mi domanda: “Senta signor Andretta, ma lei è proprio sicuro di quello che sta facendo? Lei si licenzia dal Conservatorio di Milano, dalla cattedra di direzione d’orchestra? È sicuro?” Risposi: “Beh, probabilmente se fossimo riusciti a parlare prima, ma adesso è troppo tardi”. Io avevo subito il Requiem di Verdi, poi Un ballo in maschera e altre cose.
Forse se fossi rimasto a Bologna sarebbe andata diversamente. Così mi sono licenziato dal Conservatorio di Milano e queste sono le mie esperienze con i Conservatori italiani.

Ma durante tutte queste peripezie e queste scelte, il Maestro Pasut le è stato vicino?

Continuamente. Anche quando mi sono licenziato dal Conservatorio di Milano, o quando ero a Graz lui è venuto due volte: per me era importante perché aveva una presenza e un fascino notevoli e per me era una grande soddisfazione il fatto che il Maestro fosse lì in teatro.
Direi che tutte le mie decisioni sono state passate al vaglio della sua esperienza. Lui è un trevigiano, ha passato qui la sua vita, ma nel 1943 quell’uomo aveva vinto una borsa di studio perché il suo diploma di direzione d’orchestra a Roma era stato talmente straordinario che gli avevano offerto una borsa di studio di sei mesi come assistente di Furtwängler. Poi proprio nel 1943 c’è stata la rottura del patto, ma cosa sarebbe successo se avesse continuato?

Ho conosciuto musicisti che non sono così famosi, ma sono straordinari. I loro volti non sono sui giornali o sui CD ma solo perché hanno scelto una strada diversa, o perché il destino li ha portati da un’altra parte. Prendiamo il Maestro Pasut – a parte il fatto che tutto quello che ha fatto qui ha lasciato un segno profondo e tutte le persone che ho incontrato lo ribadiscono – per me era motivo d’orgoglio essere suo allievo. Ancora adesso il nome italiano che io cito nel mio curriculum è il suo.
La musica è un’espressione d’arte, l’arte in sé ha bisogno di un ambiente che la sappia riconoscere. L’arte non è pressappochismo. Ci sono tanti direttori d’orchestra quanti calciatori. Il Maestro Pasut non ha sviluppato la sua carriera come direttore d’orchestra perché il destino lo ha condotto da un’altra parte. Ci sono tante cose: era padre di famiglia, l’ambiente dove lavorava e soprattutto il periodo storico sono stati determinanti; completamente diversa era la sua vita. Ma lui era IL direttore d’orchestra, un musicista e un direttore d’orchestra con la capacità umana di scavare a fondo nell'animo, di provare le emozioni fino in fondo. Non è facile per un comune mortale provare le emozioni che Beethoven ha descritto, o che Mozart ha descritto, o Richard Strass, o Stravinskij. Un direttore d’orchestra non è un uomo che sa solo dalla prima all’ultima nota della partitura; quando questo succede è allo zero, perché un direttore non è uno che ricorda ma è uno che scopre e che riesce a trovare dentro di sé. E questo era il Maestro Pasut.
L’altro suo grande aspetto era la sapienza, il sapere. Non era uno che sentiva perché aveva la predisposizione all’emozione, alla fantasia, ma era uno che aveva un grande sapere enciclopedico, una grande capacità di analisi formale, estetica e storica il più ampia possibile. Quello è il vero direttore d’orchestra e lui era tutte queste cose. Il Maestro non ha avuto l'opportunità di esprimersi come direttore d’orchestra, ma io sono sicuro al 100% che era molte ma molte e molte volte più direttore d’orchestra di moltissimi di coloro che vanno in giro a muovere l’aria.
Un altro aspetto del Maestro è l’onestà. Poiché l’ambiente della musica è un ambiente anche molto basato sull’immagine ed è facile trasformare la realtà a proprio piacimento (non so, costruendo un curriculum, o su internet, eccetera) o addirittura di crearla come si vuole. L’onestà si può esprimere in molti modi. Per un artista l’onestà intellettuale è fondamentale. Se ti offrono di dirigere e tu sai di non essere pronto, perché ad esempio sei troppo giovane e devi fare ancora più esperienza, devi saper dire di no. Questo è solo un esempio. Il Maestro in questo era una roccia e per questo incuteva timore, perché c’era il sapere, era buono, c’era l’onestà totale.
Io rimarrò tutta la vita innamorato del Maestro Pasut, gli voglio bene come a un secondo papà, abbiamo parlato di tutto insieme, trascorrevamo molto tempo insieme quand'ero qui. Se ci pensiamo bene, avere un uomo così, un musicista come lui e non accorgersene; perché, diciamo che non è che Treviso si sia accorta e abbia creato le situazioni per fare in modo che quest’uomo potesse lavorare qui e sviluppare tutto quello che avrebbe potuto fare.

Ma tutt’ora è così, credo sia comune a tutto il territorio italiano. La cultura musicale non fa parte del patrimonio della gente. È triste, ma è una realtà. Per questo la spinta ad andare all’estero che le ha dato per la sua carriera è stata determinante, anche la consapevolezza che qui sarebbe stata una fatica inutile e che lui aveva già sperimentato.

Eppure, nonostante tutto, io non l’ho mai sentito insoddisfatto, era ovviamente cosciente dell’ambiente ma non si è mai lamentato. Da un punto di vista umano era talmente superiore e lasciava che le cose scorressero così. Era libero. Certo, sapere oggi che c’era una potenzialità incredibile e sapere che l’ambiente e la società culturale trevigiane non ne hanno approfittato...
A tutti quelli che ho conosciuto – anche persone semplici incontrate una volta sola, anche in ambienti diversi – ho sempre detto di essere stato allievo del Maestro Pasut e in qualunque occasione, le reazioni delle persone che lo hanno incontrato, che hanno lavorato insieme a lui o che ne hanno sentito parlare, perché magari lo avevano sentito suonare, erano di grande ammirazione e considerazione. Tutti, proprio tutti, sempre così. Per questo per me era anche motivo di orgoglio poterlo dire, perché vedevo che tutti ammiravano e rispettavano il Maestro.

Era esigente il Maestro?

La fatica è stata molta. Mi sono abituato a lavorare tanto. Con il Maestro Pasut se non avevi la capacità di lavorare sodo, non eri un allievo per lui. Una cosa che certamente instillava era il lavoro severo. Di sicuro i pigri non andavano dal Maestro Pasut. Gli anni in cui io l’ho conosciuto erano anni in cui il Maestro era in pensione, manteneva certo l’incarico di presidente dei cori dell’ASAC e questo per molti anni, ma a parte questo incarico lui era sempre attivo.

Le parlava mai della sua musica? Quando componeva?

Sì, sì. Nel linguaggio il Maestro è rimasto molto legato alla formazione che ha avuto, quella del 900 italiano, Malipiero, la tonalità è molto presente.

E Dalla Piccola?

Sì, ma molto meno. Dalla Piccola ha osato molto di più, ha una scrittura molto avanzata e una tecnica paurosa. Ricordo che quand'ero a Salisburgo abbiamo fatto l’Ulisse di Dalla Piccola: per sei mesi tutte le sere studiavo due ore perché era difficile, molto difficile. Il Maestro Pasut era molto più radicato alla tonalità, la tonalità novecentesca e l’armonia non è certo quella romantica, ma post-romanticismo e Novecento tonale sì.

Quindi Casella…

Sì. Poi certo anche i suoi maestri e i contatti che ha avuto con la scuola di Roma hanno lasciato una traccia. Il Maestro era comunque un uomo che scriveva d’istinto, era un compositore che non aveva bisogno della commissione per scrivere e la disciplina faceva parte della sua personalità; un uomo dalla forte autodeterminazione, quindi probabilmente scriveva anche per mantenere la tecnica dello scrivere. Questo era un atteggiamento che lo radicava.

Quando scriveva un pezzo nuovo ne parlavate?

Sì, tendeva a scrivere per organici piccoli da camera, per pianoforte, organo. Chiaramente un compositore scrive anche a seconda delle occasioni dell’ambiente in cui vive. Un pezzo per organico piccolo è più semplice anche da sistemare. Se fosse vissuto in una città grande con ad esempio un’orchestra stabile, sicuramente avrebbe scritto per orchestra. Qui la Filarmonia o l’ambiente del teatro negli ultimi anni… il Maestro Pasut ha avuto certamente una vita lunga, ma questo strumento musicale della città collegato al teatro, in rapporto alla sua vita è stato esiguo, insomma. Dopo lui non ha avuto contatti, credo.
Per me è stato determinante, determinante. Rispetto più il Maestro Pasut di qualcuno che è più conosciuto attraverso i dischi. Ho un rispetto e un bene assoluti, come fosse un secondo padre.

Per quanto tempo vi siete frequentati ?

Quando l’ho incontrato avrò avuto circa 22 anni e l'ho frequentato fino a quando il Maestro è mancato.

Un lungo arco di tempo.

Sì, sì. Un tempo significativo. Anche quando era malato io andavo a casa, tra l’altro era anche vicino.

Vicinissimo, e forse sarà stato anche destino.

Anche questa era una cosa che lo coinvolgeva, perché il Maestro si è spento un po’ alla volta: aveva avuto quella sfortuna dell’ictus, un’ischemia cerebrale. Aveva Gabriella e le altre sorelle sempre vicino, cioè la famiglia. Quando andavo là era come un re, era una famiglia molto unita. Che famiglia straordinaria! Molto attaccati a lui. Era proprio un patriarca. Faceva fatica a parlare, all’inizio parlava un po’, poi sempre meno. E allora ricordo che non sapevo come riempire il tempo, perché quando una persona parla ma l’altra non può rispondere il tempo è lunghissimo. E allora gli raccontavo dei concerti, di questo e di quell’altro, e ricordo che ogni tanto l’occhio si accendeva e poi si riappisolava un po’, poi si riaccendeva… era ugualmente presente ai miei racconti.
Una cosa importante è che lui mi ha sempre sostenuto anche nel modo di osservare, nel modo di scegliere, nel modo di accettare certi incarichi oppure no. Con lui ho sempre parlato di tutto. Lo visitavo spesso; a volte passavo, suonavo, entravo un attimo, a volte anche visite brevi così, due parole, due considerazioni e poi andavo a proseguire la giornata.

1 febbraio 2010

     
   
   

Il mio Bruno

di Paolo Bon

     
   
  Paolo Bon, musicista, compositore, direttore di coro e musicologo, è membro della commissione artistica dell'ASAC e dal 2009 presidente dell'AIKEM.
Negli anni Settanta ha dato vita al movimento “Nuova Coralità”, ispirato alla ricerca delle implicazioni profonde della musica arcaica e alla loro liberazione nel processo compositivo e nell'espressione corale.
   

“Diatonomia” è il nome da lui dato ad un'originale linguistica musicale costruita sulla teoria evolutiva del diatonismo.

Chi pensa a Bruno Pasut lo ricorda come un musicista rigoroso e ad un tempo sensibile, come un compositore che ha attraversato buona parte del Novecento con attenzione a ciò che si produceva nell’agone internazionale, ma fedele alle radici diatoniche (tonali e modali) su cui si era innestata la sua formazione, lontano da qualsiasi smania di protagonismo; come un organista e un direttore di coro di capacità difficilmente uguagliabili; come un ricercatore archivista curioso ed inventore nel senso etimologico di inveniens che cerca-trova-scopre e riporta nella luce, e infine come un didatta capace di trasfondere la sua passio in almeno due generazioni di allievi.
Ma per me questa non è che una premessa al Bruno che ho conosciuto io, al quale sono stato legato fino all’ultimo da affetto pienamente ricambiato, come ricambiata era la stima che avevo per lui. Il mio era, ovviamente, affetto filiale.
Io lo ricordo essenzialmente come un uomo dolce ed infinitamente buono, e nello stesso tempo come un musicista dai perenni entusiasmi giovanili, che non lo hanno abbandonato nemmeno quando si trovò obbligato a quel letto dal quale non si sarebbe più risollevato: era in quel letto quando mi disse di aver ideato a grandi linee una messa grandiosa, che si riprometteva di mettere per iscritto non appena ristabilitosi. Era, purtroppo, un progetto impossibile, e gli eventi tristemente lo dimostrarono, ma non era una futile fantasia: sono certo che, se fosse guarito, vi avrebbe per lo meno messo mano.
La sua produzione, prevalentemente corale e pianistica, è di rilevanti proporzioni, e la posseggo tutta, poiché di tutto ciò che aveva fatto e faceva mi metteva a parte. Con Luca Bonavia lo coinvolgemmo nell’importante progetto “Cantar Storie”, fatto di elaborazioni corali di esiti orali inediti, e lui, col consueto giovanile entusiasmo, ci regalò due gioielli che impreziosiscono la nostra raccolta. Prima, era venuto a Cortina a presentare, con una semplicità paragonabile soltanto alla sua autorevolezza, un mio Cahier musicale Valdostano: gli costò fatica, perché il fisico non era più quello di un giovanotto, ma lo era lo spirito. Un’altra volta disdisse un importante impegno per venire a Volpago del Montello, la mia cittadina natale, chi mi offriva una serata dedicata a musiche mie. Tutto questo per dirvi il bene che mi voleva, e il bene che mi voleva era pari solo a quello che gli ho voluto … pardon, che gli voglio io.

gennaio 2011

     
   
    Testimonianza di Elena Carli

Elena Carli si è diplomata brillantemente in Pianoforte Principale sotto la guida del M° Bruno Pasut presso il Conservatorio di Bologna. Ha seguito dei corsi di Perfezionamento presso l'Accademia Chigiana, a Roma e a Salisburgo e si è dedicata per alcuni anni all'insegnamento del Pianoforte.
Conseguita la Laurea in Farmacia, ha rilevato l'attività materna e svolge da anni tale professione. Vive e lavora a Castelfranco Veneto.

Avevo nove anni quando Madre Ines, la mia prima amatissima insegnate di pianoforte, mi portò dal Maestro Bruno Pasut, musicista molto importante, mi disse, per affidarmi alla sua guida, se lui mi avesse accettata. Il Maestro era molto impegnato in vari settori musicali e non aveva certo "tempo da perdere". Ero molto intimidita, ma lui mi accolse con tanta affabilità, mi ascoltò con attenzione e poi suonò lui facendo ogni tanto delle dissonanze e stonature per vedere se reagivo: io capii subito e cominciai a ridacchiare facendo smorfie di disgusto e così cominciò quasi come uno scherzo che sciolse ogni tensione, il nostro lungo cammino insieme.
Le lezioni erano attese da me con gioia ed emozione. Il Maestro era molto esigente ma quando lo meritavo mi gratificava con generosità. Le sue lezioni erano a 360 gradi, si partiva dall'affrontare e superare le difficoltà tecniche, per passare alla parte prettamente musicale in un'ambientazione storica e filosofica degli autori e della loro musica. Il Maestro ci teneva molto all'apertura mentale, alla cultura, alle esperienze anche con altri insegnanti e in altri ambienti e così, appena possibile, mi mandò all'Accademia Chigiana per un corso col leggendario Cortot, a Roma e a Salisburgo. Diceva che io ero la sua sesta figlia. C'era un rapporto di grande affetto e stima fra noi, ed io nel corso degli anni ebbi modo di apprezzare sempre il suo alto profilo morale e la sua grande umanità.
Quando la vita mi colpì crudelmente lui era lì, era presente per sostenere ed aiutare.
La sua tenerezza verso le persone che amava mi commuoveva. Non potrò dimenticare la dedizione che sempre dimostrò per la sua amatissima consorte Vittorina. Lei ebbe fin da giovane gravi problemi con la vista e lui la portò ovunque, per offrirle il meglio che c'era a disposizione, per cercare di salvare il salvabile e sempre era pieno di coraggio che infondeva anche in lei.
È stato un padre attento, saggio e premuroso. L'amore che seminò portò buoni frutti perchè quando perse Vittorina non fu mai solo e negli ultimi anni tristissimi per la malattia che lo colpì, "sentì", insieme alla musica, il ritorno di quell'amore che aveva dato con tanta generosità.

gennaio 2010

     
   
   

Ricordi del mio Maestro di composizione Bruno Pasut

di Carlo Gnocato

     
   
  Carlo Gnocato ha iniziato gli studi musicali presso la “Scuola Ceciliana” di Treviso diretta da Monsignor Giovanni D'Alessi, scuola deputata alla formazione degli organisti e dei maestri di canto corale parrocchiale, per poi proseguirli presso l'Istituto musicale “F. Manzato” di Treviso conseguendo i diplomi di Pianoforte e di Musica Corale e Direzione di coro.
   

Dal 1960 è stato Ordinario di Educazione Musicale presso la Scuola Media “L. Stefanini” di Treviso fino al 1978, anno in cui vinse la cattedra di Teoria e Solfeggio presso il Conservatorio di Castelfranco Veneto. Dal 1963 al 1975 è stato insegnante di Pianoforte Principale e di Teoria e Solfeggio presso l'Istituto “Manzato”.
L'attività di compositore è documentata da lavori per pianoforte e vari organici, nonché di genere concertistico, polifonico e didattico.

Direttore e insegnante principale della “Scuola Ceciliana” era Monsignor Giovanni D’Alessi, Maestro di Cappella del Duomo di Treviso e insegnante di musica e canto presso il Seminario Vescovile della stessa città. Profondo conoscitore della musica gregoriana, della notazione, delle tecniche di esecuzione e, ovviamente, della Liturgia. Musicologo di fama internazionale, si dedicò allo studio e alla ricerca di musiche polifoniche in generale e della Scuola Veneta in particolare, pubblicando tra l’altro Musiche di Chiesa da 5 a 16 voci di Andrea Gabrieli e La Cappella Musicale del Duomo di Treviso.
L’indimenticabile Maestro D’Alessi è riuscito a infondermi la passione e l’amore per il canto gregoriano e la polifonia facendomi conseguire brillantemente il Diploma di “Maestro di canto corale parrocchiale”. Tale era l’entusiasmo per i risultati conseguiti che ho voluto proseguire lo studio della musica presso l’Istituto “Manzato” di Treviso. Sono stato veramente fortunato ad avere come insegnanti il M° Luigi Pavan per il Pianoforte, il M° Bruno Pasut per l’Armonia e la Composizione e, dopo il Diploma di Pianoforte, il M° Giuseppe De Donà per l’Organo e la Composizione organistica.
 
Tralasciando le varie esperienze avute nell’arco degli studi musicali in genere, mi voglio soffermare soltanto sulla Composizione, cioè sul Maestro Bruno Pasut, insegnante, musicista, uomo.
Nel primo anno di scuola abbiamo completato ed approfondito il programma di Armonia complementare (che in parte avevo già svolto con il M° D’Alessi). Prima di iniziare il secondo anno scolastico, il M° Pasut (che allora era Vice Direttore dell’Istituto “Manzato”, il Direttore era ancora il M° Giuseppe Mariutto), mi convocò in Direzione e, dopo le formalità del caso, mi disse: “Senti Carlo, ho visto nella tua scheda di iscrizione che quest’anno vorresti iniziare lo studio anche della Composizione, come mai?” Maestro, Le confesso che ero molto titubante ma dopo una lunga riflessione ho deciso di iscrivermi. “Guarda, figliolo caro, questo è uno studio lungo, difficile, che…” Lo so maestro, ma mi piace tanto e vorrei… provare! “Ho visto, nella tua scheda, che hai frequentato la Scuola Ceciliana con il M° D’Alessi”. È vero maestro, e devo ammettere che mi sono innamorato del canto gregoriano e della polifonia. Non l’avessi mai detto! Il maestro Pasut ha immediatamente cambiato espressione, il suo volto si è illuminato! Ho capito subito che avevamo qualcosa in comune! Dopo un momento di silenzio, il maestro insistette: “Senti Carlo, ho il dovere di avvisarti che ci sono delle cose molto impegnative, come il Contrappunto, la Fuga, il Doppio Coro, ecc., pensaci bene!” Maestro Pasut questo non è un capriccio di gioventù; vorrei proprio provare perché penso che avrei qualcosa da dire, ma se Lei non vuole proprio darmi lezione… “Senti, figliolo caro, iscriviti pure e… se son rose fioriranno!!!”  Dopo avermi consegnato il calendario di frequenza, ci siamo salutati.
 
Sono tornato a casa felice, sicuro di avere trovato l’insegnante scrupoloso, che mette l’allievo di fronte alle proprie responsabilità, l’uomo saggio che, pur mantenendo le dovute distanze, mette l’allievo a proprio agio, consigliandolo con spirito paterno e questo, per me, è stato molto importante avendo purtroppo perso il papà a soli 11 anni!
Fin dalla prima lezione abbiamo iniziato, senza indugi, un grande lavoro di ripasso e di approfondimento, partendo addirittura dalla formazione delle scale greche (unione di due tetracordi discendenti), passando poi ai modi gregoriani (unione di due tetracordi ascendenti) e alla costruzione di brevi melodie impostate su tutti i modi, sia autentici che plagali.
Dopo alcune lezioni, affrontiamo anche il tema della “Ritmica musicale” che si basa su quella verbale. Il maestro mi fa notare che nella poesia greca esistono due quantità di sillabe: la sillaba breve (rappresentata da una linea curva) e la sillaba lunga (rappresentata da una linea retta) a differenza del latino pre-classico e delle lingue romanze che distinguono tra sillabe accentate (toniche) e sillabe non accentate (atone). Le due quantità si organizzano in vari schemi detti piedi ritmici.
Fra i più usati ricordo:

  • il Dattilo, una lunga e due brevi;
  • l’Anapesto, due brevi e una lunga;
  • il Giambico, una breve e una lunga;
  • lo Spondeo, due lunghe; ecc.

Per ravvivare le lezioni impostate sulle scale – modi – ritmica – metrica – ecc., che potevano sembrare noiose, il M° Pasut, da vero didatta, le impreziosiva spiegando che in ogni epoca esistono stretti legami della musica con altre forme d’arte e di pensiero e faceva degli esempi: nell’antica Grecia la musica era legata all’etica, nel Medioevo alla Religione, nel Rinascimento alla Poesia, nel Romanticismo alla Filosofia e nell’età contemporanea all’Estetica e al Sociale.
A questo punto si può iniziare la composizione di melodie gregoriane con l’applicazione dei testi sacri, prima pezzi brevi come Kyrie eleison, Sanctus, ecc. e poi Messe complete, Salmi, Mottetti, ecc. Per qualche anno abbiamo continuato a comporre Messe, Inni, qualche Madrigale, ecc., alternando con l’approfondimento dell’Armonia, scrivendo pezzi pianistici e per complessi da camera (minuetti, trii, canoni e anche qualche sonata monotematica e bipartita, in stile scarlattiano, sempre su temi dati dal M° Pasut.
Alla fine di ogni anno scolastico facevamo i saggi finali di studio presentando i pezzi meglio riusciti che quasi sempre erano per Pianoforte perché, date le scarse disponibilità economiche dell’Istituto, non era possibile avere a disposizione né esercitazioni corali, né strumentali (e qui mi è tornato molto utile il Diploma di canto corale parrocchiale).
 
Finalmente è arrivato il momento di aumentare gradatamente le difficoltà affrontando lo studio del Contrappunto e della conseguente Polifonia. Naturalmente alla base di tutto c’è il cantus firmus, breve melodia gregoriana, rappresentata da suoni lunghi (semibrevi) sopra i quali si costruisce, iniziando ovviamente dal Contrappunto a due voci (se corale) o a due parti (se strumentale).
Le esercitazioni contrappuntistiche sono di otto specie: la prima specie è nota contro nota, cioè 1:1, seconda specie 1:2, terza specie 1:3, quarta specie 1:4, quinta specie sincopi a 2, sesta specie sincopi a 3, settima specie florido, ottava specie mescolanze. Mentre continuavamo a studiare il contrappunto modale, in forma severa e in tutte le specie, aumentavano gradatamente le voci sovrapposte fino ad arrivare al coro battente o doppio coro. Per esempio: due cori a 5 voci che si alternano, si imitano e in diversi momenti si sovrappongono; le linee melodiche, nei momenti delle sovrapposizioni, diventano dieci, tutte scritte nelle chiavi antiche (setticlavio). Certamente non è facile averle tutte sotto controllo. Il mio maestro invece aveva una facilità e sicurezza di lettura del setticlavio da far rimanere a bocca aperta.  Ancora più importante era che non gli sfuggivano gli errori (per esempio le famose quinte e ottave, sia dirette che nascoste), oppure relazioni di “tritono”, o ancora,  sensazioni di settime di dominante, ecc., che giustamente il maestro Pasut non lasciava passare (segnava tutto bene, in rosso)! Qualche volta obiettavo: “Maestro, ora me ne accorgo, questo è un errore di condotta delle parti, ma questo non mi sembra”! Hai ragione, Carlo, non è un errore tecnico ma è un qualcosa che, per l’epoca a cui ci riferiamo, è fuori stile. In questo punto, non hai sentore di “tritono” (diabolus in musica)? Guarda, basta cambiare questa nota e tutto va a posto!
Quasi contemporaneamente abbiamo iniziato lo studio della Fuga, una delle forme musicali più complesse e difficili da realizzare. Lo schema, in sintesi, è costituito da tre parti fondamentali: 1. ESPOSIZIONE, 2. SVILUPPO, 3. STRETTI (Ripresa).

  1. ESPOSIZIONE: vengono appunto esposti il SOGGETTO (Tema), dall’analisi melodica ed armonica del quale si deducono le caratteristiche della RISPOSTA (Tema) che potrà essere REALE, se riproduce fedelmente il Soggetto al Tono della Dominante, o TONALE se riproduce il Soggetto con le mutazioni necessarie per mantenere la Risposta entro i limiti armonici della tonalità d’impianto. (La Fuga pertanto prenderà il nome di Reale o Tonale a seconda della Risposta). In un secondo momento si creano vari CONTROSOGGETTI (melodie che accompagnano i Soggetti e le Risposte) con le seguenti norme :
    a) in contrappunto invertibile all’8^ (contrappunto doppio),
    b) con caratteristiche melodico-ritmiche in contrasto con quelle del Soggetto, per avere l’opportunità di distinguerli.
  2. SVILUPPO: (Divertimenti) presi ogni volta da un diverso inciso del Soggetto o del Controsoggetto per mantenere unità logica ed al tempo stesso varietà al discorso musicale.
  3. STRETTI: (Ripresa) entrate sempre più ravvicinate dei Soggetti e delle risposte, sfruttando le varie possibilità offerte dalle diverse specie di Canoni. 
Questo è, in sintesi, ciò che il M° Pasut pretendeva prima di iniziare un Fuga dimostrando, ancora una volta, la serietà e preparazione tecnica dell’insegnante oltre alla raffinatezza espressiva del musicista.

Quando il M° Pasut è stato nominato Direttore del Liceo Musicale “F. Manzato” di Treviso, naturalmente sono aumentati gli impegni e le responsabilità; non per questo però è venuto meno al suo dovere di insegnante ligio ed esigente. Non mi ha mai fatto perdere una lezione, nemmeno quand’era indisposto. Faceva una telefonata alla segretaria del Liceo dicendole: “Per favore, signora, dica a Gnocato che oggi venga a lezione qui a casa mia”. Naturalmente lo trovavo a letto e là mi correggeva i compiti. Questo mi è successo più di una volta.
In un’altra occasione, nell’orario di lezione, doveva suonare l’organo a un matrimonio. Mi disse: “Carlo, oggi andiamo a fare lezione in chiesa (S. Andrea) e durante l’omelia e nelle altre pause della cerimonia, mi correggeva i compiti. Anche in queste occasioni il M° Pasut ha dimostrato di essere un vero musicista al quale non serve uno strumento musicale per correggere i compiti. Gli eventuali errori li vede, li legge, ma l’effetto sonoro lo sentiva solo dentro di sé, con l’orecchio interiore e questo ce l’hanno soprattutto i grandi musicisti. Come uomo invece si preoccupava di non farmi perdere lezioni, per poter completare lo svolgimento del programma nei tempi prestabiliti e magari, nonostante la sua eccessiva prudenza, preparare anche qualche esame di Compimento dei vari periodi di studio.
Parlando del Contrappunto ho già accennato alla facilità e sicurezza di lettura e di esecuzione che il maestro aveva. Ora vorrei aggiungere un grande talento che lui possedeva: l’IMPROVVISAZIONE. “Maestro, per questa lezione ho provato a fare un I tema di Sonata, per favore me lo può controllare?” Dopo averlo guardato qualche istante, il maestro iniziava a suonarlo armonizzandolo e, dopo avere fatto il ponte modulante, esponeva il II tema e terminando l’Esposizione con una breve coda. Ancora qualche momento di silenzio e iniziava la seconda parte: lo Sviluppo, che consisteva nel valorizzare i temi esposti in precedenza anche mediante artifici contrappuntistici nei quali, come sappiamo, il pianista Pasut era Maestro. Arriviamo così all’ultima parte: la Ripresa, che consiste nella riesposizione della prima parte con le dovute modifiche e la perorazione conclusiva. Veramente mi sembrava di avere assistito ad un grande concerto.
Vorrei terminare con un episodio accadutomi quando non ero più allievo ma insegnante di Teoria, Solfeggio e Dettato Musicale presso il Conservatorio “A. Steffani” di Castelfranco Veneto. Nell’anno accademico 1980/81 il maestro Bruno Pasut è venuto a dirigere il Conservatorio di Castelfranco Veneto. In quell’anno, fra i miei allievi avevo anche le cantanti alle quali davo lezione in orari diversi dagli altri, essendo diverso il programma. Per farla breve, io insegnavo loro anche il Setticlavio (purtroppo non previsto dal loro programma vigente) e le ragazze si lamentavano di studiare cose non previste, che avevano poco tempo ecc. Io invece cercavo di convincerle dell’importanza del Setticlavio perché se per caso dovevano cantare musica antica, forse la trovavano scritta appunto nelle chiavi antiche e che comunque era un arricchimento culturale personale, ecc. Loro però continuavano a fare i capricci da primedonne. A questo punto, sicuro che il Direttore Pasut mi avrebbe assecondato, ho proposto alle ragazze di sentire il parere del Direttore e se avesse detto di non studiare più il Setticlavio l’avremmo ascoltato. Il Direttore, ascoltate le lamentele delle allieve con molta attenzione, disse: ”Figliole care”, dovreste ringraziare il M° Gnocato che si preoccupa della vostra preparazione affinché possiate affrontare con sicurezza la vostra carriera, ecc. Alla fine dei discorsi, abbiamo continuato a studiare il Setticlavio, non so con quanta convinzione da parte loro, certamente però, dopo l’esame di Licenza, sono venute a ringraziarmi, felici di sapere qualcosa in più.
 
Di questi ed altri episodi nel corso dei miei studi ne sono successi parecchi, penso però che quelli qui raccontati siano più che sufficienti per affermare, con assoluta certezza, che il Maestro Bruno Pasut era:
un grande didatta
un grande musicista
un grande direttore
un grande uomo!

gennaio 2011

    su
   

RICORDO DI BRUNO PASUT

di Giovanni Feltrin

   

 

   
  Giovanni Feltrin, diplomato a pieni voti in Organo e in Musica Liturgica Prepolifonica e con lode in pianoforte, ha conseguito numerosi primi premi in concorsi organistici nazionali, ed il secondo premio assoluto al 5º Concorso Internazionale di Manchester.
Svolge intensa attività concertistica partecipando a prestigiosi Festival in molti Paesi europei, sia come solista – all'organo e al cembalo – che in diverse formazioni cameristiche ed orchestrali.
   

Particolarmente dedito al repertorio per organo e orchestra, ha anche composto musiche per organo e per coro, aggiudicandosi il 1º Concorso di Composizione Sacra indetto dalla Diocesi di Treviso.
È docente di Organo e Canto Gregoriano presso il Conservatorio di Rovigo ed è titolare del grande organo “Kuhn-Hradetzky” della Cattedrale di Treviso.
Nella sua discografia ampio spazio è dedicato al repertorio del XX secolo per organo solo e in duo, con diverse prime registrazioni assolute. Nel 2010 ha pubblicato, su iniziativa della diocesi trevigiana, il CD Organisti della Cattedrale di Treviso 1771-2010 contenente il Finale dal Trittico di Bruno Pasut.

Sembra la sceneggiatura di un film.

Muovevo le mie prime dita su una tastiera, e ad ascoltarmi c’era lui.
Diventavo organista della Cattedrale, nel posto che era stato suo.
Se facevo un concerto impegnativo, lui veniva ad ascoltarmi.
Compiva gli 80 anni, e alla festa in suo onore partecipavo anch’io.
Per le sue nozze d’oro eseguivo la sua musica, tra l’affetto dei suoi familiari.
Il giorno dell’addio, nella sua parrocchia, lo accompagnavo con le sue note.

“Questo ragazzo ha la testa che cammina più veloce delle mani”. Questo il giudizio che Bruno diede ascoltandomi al Collegio Zanotti, dove la mattina facevo le elementari e al pomeriggio studiavo pianoforte sotto la severa guida della signorina Mastroleo. Gli esami di promozione si sostenevano ad ogni fine anno, e l’insegnante voleva per questi appuntamenti una commissione di prim’ordine: oltre a Bruno Pasut c’era Luigi Pavan, altra colonna portante della musica trevigiana. Ricordo che, quando toccava ai brani a quattro mani, Bruno si metteva al mio fianco (io - prima elementare - sedevo su un’enorme pila di cuscini) e suonava la parte ‘del maestro’; ma anziché rispettare ciò che era scritto, improvvisava ritmi sincopati, inventava armonie esotiche, insomma faceva nella parte grave un carosello così frastornante che io - dimenticando la parte ‘dell’allievo’ (che continuavo a suonare per inerzia) - stavo ad ascoltarlo rapito, divertendomi come ad un gioioso spettacolo creato apposta per me.
“I pollastrelli: cerchi di tenerli più rotondi” concludeva sornione il maestro.

Una volta cresciuto e nominato organista del Duomo, feci una ricerca sulla storia dell’organo “Tamburini”, e trovai varie lettere che Bruno - titolare all'organo della Cattedrale dal 1928 al 1946 - aveva scritto all'inizio degli anni '70 per sensibilizzare enti, associazioni e privati a contribuire al restauro dell’allora malmesso strumento, che era stato danneggiato in entrambi i conflitti mondiali. Ne ammirai la finezza dello stile, elegante ma allo stesso tempo concreto e appassionato; e toccai con mano il profondo coinvolgimento e il faticoso impegno che il maestro aveva riversato in quell’iniziativa.

A Schio la sua era una presenza attesa. 
Giuseppe Piazza, organizzatore del più antico festival organistico italiano, che si articolava in poche ma qualificate manifestazioni, me lo diceva commosso e ammirato: “magari viene ad uno solo dei concerti, ma Pasut cerca di non mancare mai all’appuntamento”. L’anno - il primo - in cui non lo si vide, Piazza era sinceramente preoccupato: per lui Bruno era un amico, e nelle piacevoli conversazioni che seguivano ai concerti, nella sua casa di Schio i due si riassumevano calorosamente gli avvenimenti musicali di un anno intero. 

(A vederli, mi tornava in mente un incantevole concerto sentito da ragazzino al Teatro La Fenice, dove Bruno, alla testa dell’Ottetto Polifonico Patavino, sedeva con i coristi attorno ad un tavolo, dando l’impressione di un’amabile ritrovo domestico, una  Hausmusik  trasferita per magia su di un palco meraviglioso).

Ottant’anni: un traguardo raggiunto fra gli applausi dei tanti amici, allievi, appassionati, che affollavano Madonna Granda per un concerto omaggio, interpretato dal Coro Sante Zanon diretto da Stefano Mazzoleni. Al sottoscritto il gradito compito di suonare il Trittico per organo composto dal festeggiato solo pochi anni prima. In prossimità della serata telefono a Bruno per chiedergli qualche chiarimento sull’esecuzione. Lui preferirebbe sentirla in anteprima, e ci troviamo di pomeriggio alla chiesa. I primi due brani scorrono via con poche correzioni, ma il “Finale” Bruno lo vuole più veloce, assai più veloce. (Eppure ero convinto di staccare un tempo sufficiente). Nossignore, più veloce. Ancora un po’. Ecco, così va bene (sì, però devo renderlo più sicuro, e manca solo un giorno! Ma il pezzo è così bello e trascinante che ne vale davvero la pena. Speriamo che stavolta il maestro non osservi che le mani vanno più lente della testa...). 

Nozze d’oro: in gran segretezza mi telefona Patrizia, quintogenita del maestro, perché insieme alle sorelle sta organizzando una “Messa a sorpresa”. Le figlie di Bruno hanno infatti rinvenuto, ad insaputa del papà, il manoscritto di una Messa nuziale per quartetto d’archi e organo da lui composta 50 anni prima, e dedicata alla moglie per il giorno del matrimonio.
Segretamente dunque allestiamo un quintetto con alcuni strumentisti della Fenice e finalmente suoniamo per i coniugi la Messa nuziale, nella stessa chiesa di Santa Bona in cui avevano celebrato le loro nozze. Completa la sorpresa l’esecuzione di una giovanile Ave Maria per voce e organo, forse scritta in preparazione al diploma di organo: Bruno (non ricordandosi di averla composta lui) chiede chi ne sia l’autore perché - dice - non è niente male.
È l’ultima volta che tutta la famiglia Pasut si trova allegramente riunita: tre mesi più tardi l’amata moglie termina la sua vita terrena.

Anche per Bruno viene il momento in cui il Padre lo chiama a sé: nel 2006 un’assemblea commossa lo accompagna, mentre il dolce suono di una viola fa riecheggiare le note della sua “Ave Maria”. Io sono seduto all’organo che un altro Bruno, Don Bruno Serena - lui pure organista della Cattedrale - ha donato alla chiesa del Sacro Cuore.

Anche mio figlio, oggi quattordicenne, si chiama Bruno.
Sembra la sceneggiatura di un film. Un bel film.

maggio 2012

     
   
   

IL M° BRUNO PASUT:
UN DOCENTE, UN AMICO, UN CONSOCIO

di Vittorio Galliazzo

     
   
  Vittorio Galliazzo, professore di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dal 1977, ha compiuto ricerche presso varie istituzioni in Italia e all’estero. È membro di vari comitati scientifici in Italia, in Francia e nella Repubblica di San Marino.
Per l’insieme delle sue pubblicazioni e soprattutto per i due volumi su I Ponti Romani (Treviso 1994, 1995), definiti “oeuvre importante et de qualité exceptionelle”, nel 1996 ha meritato la “médaille de l’Histoire de l’Art” da parte dell’Académie d’Architecture di Francia.
    Ha collaborato con vari giornali, riviste e con l’Enciclopedia dell’Arte Medievale (Treccani) pubblicando voci, articoli e memorie d’interesse storico, archeologico, architettonico e artistico.

La scomparsa nel maggio del 2006 di Bruno Pasut mi ha lasciato molto addolorato. Con lui infatti perdevo colui che, in successione di tempo, era stato per me prima un valoroso maestro, poi un caro amico ed infine uno stimato consocio dell’Ateneo di Treviso.

Il maestro

Conseguita la laurea con il massimo dei voti nel 1965, incominciai ad insegnare Materie Letterarie al Ginnasio-Liceo “A. Canova” di Treviso. E fu allora che nei tempi liberi incontrai per caso l’amico Pierantonio Pavan che mi portò a casa sua in centro città facendomi conoscere il papà Luigi, cioè il famoso Maestro di Pianoforte, che già in gioventù aveva preparato Bruno Pasut e con lui, in seguito, aveva magistralmente portato al diploma tutta una lunga successione di musicisti.
Il Maestro mi accolse come un figlio e venuto a sapere le vicende della mia vita avventurosa e della mia inclinazione per la musica e per l’organo, mi fece suonare qualcosa osservandomi attentamente. “Ma perché – mi disse – non cerca di approfondire e curare meglio le sue conoscenze? Vedo che ha un particolare estro musicale, perché non frequenta come esterno e per quanto gli è utile il Manzato? È un Istituto Musicale serio. La presenterò io: a Palazzo Filodrammatici c’è il bravissimo organista del Duomo, il M° Giuseppe De Donà (1923-1993), un concertista, allievo anche del famoso Germani. Vedrà che sarà contento. Per la Teoria Musicale e per l’Armonia invece non vi è nessuno migliore del M° Bruno Pasut, che insegna, tra l’altro, anche nella sede del Liceo Musicale “Francesco Manzato” a Palazzo Rusteghello: da lui uscirà con importanti cognizioni di armonia”.
Ringraziato il maestro Luigi Pavan, dato che eravamo nei primi giorni nell’anno scolastico 1966-67, presi gli opportuni contatti con i due eminenti musicisti, accordandomi sugli orari liberi dagli impegni didattici.
Ottima fu la mia impressione dopo aver conosciuto il M° Giuseppe De Donà, persona gentile, paziente e preparata; altrettanto calorosa e fruttuosa sotto l’aspetto musicale fu pure l’esperienza con il M° Bruno Pasut. Egli mi consigliò di andare immediatamente da Fusco, libraio in vicolo Barberia a Treviso specializzato in testi musicali, a procurarmi un libro di armonia o, in sua mancanza, di una cinquantina di grandi fogli da musica, nonché di un piccolo quaderno con pentagrammi: avrebbe lui dettato testi e temi, nonché bassi di Armonia, che io poi dovevo sviluppare con appositi esercizi.
Il testo di teoria musicale non era disponibile in libreria. Acquistai pertanto i fogli ed andai subito dal M° Pasut. Egli cominciò a dettare, ma subito si accorse che sotto dettatura la lezione risultava noiosa se non impossibile, dato che io non potevo scrivere esattamente quanto voleva. Sicché dopo poche righe da me stilate egli risolse, fatto per lui eccezionale, di scrivere direttamente di suo pugno tutto il testo di Teoria Musicale con nozioni di Armonia. La scrittura andò avanti per altre 70 facciate o pagine, usando una penna blu con sottolineature importanti in rosso, colore utilizzato anche per correggere i miei errori o inesattezze nei rispettivi esercizi per casa.
Per brevità accenno soltanto alle parti notevoli di questo suo raro manoscritto: gli intervalli e loro classificazioni con modo d’esecuzione, ambitus, costituzione e sensazione musicale; il concetto di scala, di tonalità e di modo (non dimenticando la scala minore napoletana e la scala o modo di Debussy) e relative classificazioni; il modo; le triadi e gli aspetti che possono assumere sottolineando la relativa classificazione e costruzione; il moto armonico e melodico delle parti; la condotta armonica delle parti; i raddoppi di parti e conseguenti elisioni; le cadenze (perfetta, plagale, complessa; ovvero imperfetta, sospesa, inganno); le posizioni diverse che uno stesso accordo può assumere lasciando fermo il generatore nella parte del basso; i tipi di accostamento accordale; gli abbellimenti; le progressioni; le modulazioni ai toni vicini; la settima – dissonanze, accordi di quattro suoni; le forme di risoluzione delle settime. A questo testo di teoria musicale egli aveva aggiunto un “Quaderno per musica” con “Temi-bassi di armonia” che gelosamente conservo.

L’amico

Per l’anno scolastico 1967-1968 i programmi erano ambiziosi, ma una lettera del prof. Luigi Polacco, ordinario di Archeologia all’Università di Padova, sollecitò i miei interessi archeologici offrendomi di pubblicare un libro, Ponti romani di Padova romana. Saggio di archeologia urbanistica, lavoro che, insieme ad altre pubblicazioni, mi aprì presto le porte dell’Università di Venezia, in cui entrai nel 1973.
In tale periodo era accaduto che il M° Bruno Pasut veniva nominato (dall’anno scolastico 1974-75 fino al 30 settembre 1980) direttore del nuovo Conservatorio Statale “Antonio Buzzolla” di Adria e per necessità doveva prendere due treni: uno da Treviso a Mestre e un altro da quest’ultima località ad Adria. Il primo tratto era proprio il mio, dato che andavo a Venezia. Avevo così modo di incontrare il mio vecchio Maestro del Manzato, sempre gentile, compìto, con il suo immancabile “fifì” in luogo della cravatta: la mia mutata situazione (ma quando ero professore al Liceo mi trattava alla pari e con rispetto) ci poneva in amicizia per motivi culturali senza badare alla enorme differenza in campo musicale. Poi un giorno non lo vidi più. Venni a sapere che dal 5 novembre 1980 era passato alla direzione del Conservatorio “Agostino Steffani” di Castelfranco Veneto, da dove uscirà pensionato il 1° ottobre 1987 con 40 anni e 3 mesi di anzianità.

Il consocio

Fra il 1980 e il 1996 i miei rapporti con il maestro Bruno Pasut furono casuali e saltuari.
Nel contempo ho dato alle stampe più di 100 pubblicazioni, così il 20 dicembre 1996 divento socio corrispondente dell’Ateneo di Treviso, ma soltanto dal 25 giugno 2006 sotto la presidenza del Prof. Giuliano Simionato – conterraneo del maestro Bruno Pasut – sono eletto Socio Ordinario “in considerazione delle qualifiche che La fregiano”.
In ogni caso da “Socio Corrispondente” ho pure ritrovato, in occasione delle conferenze all’Ateneo, il mio vecchio Maestro e Amico, che, tra l’altro, fungeva pure quale Revisore dei Conti: egli era entrato nella prestigiosa Accademia nel 1983-84 come Socio Corrispondente, nel 1989-90 era divenuto Socio Ordinario, mentre per chiara fama veniva nominato Socio Onorario nel 1995-96.
Nell’Ateneo ebbi modo di parlare con Lui e di scoprire il suo grande valore di musicologo: i suoi interventi pubblicati negli Atti e Memorie dell’Ateneo di Treviso sono degni di attenzione. Essi riguardano sia le grandi personalità musicali del Veneto (mons. Giovanni D’Alessi, Gabriele Bianchi, Efrem Casagrande, Oreste Vianello), sia le principali istituzioni venete preposte all’insegnamento del Canto e della Musica (Liceo Musicale “Francesco Manzato” di Treviso, Istituto Diocesano di Musica di Treviso, Pontificia Cappella Musicale Antoniana di Padova).
Notevoli erano poi gli interessi di Pasut ai quadri generali d’insieme (programmi di studio e di esame dei Conservatori italiani di Stato, storia della vita musicale trevigiana dalla fine della prima guerra mondiale all’ultimo decennio del secolo XX).
Come ben si vede, quasi tutti studi riguardanti personaggi, istituzioni e situazioni da Lui, grande musicista e musicologo, personalmente vissuti.

È stato per me un grande onore aver conosciuto un così prestigioso, colto e generoso personaggio trevigiano e di aver trovato in Lui, un Maestro, un Amico, un Consocio.

novembre 2011

     
   
   

Il mio ricordo del Maestro Bruno Pasut

di Renzo Simonetto

Renzo Simonetto dopo il Diploma di Clarinetto, ha svolto per vari anni attività strumentale in gruppi e formazioni cameristiche. Successivamente si è diplomato in CANTO e ha svolto un’intensa attività sia didattica che artistica; dal 1975 l’interesse preminente è orientato verso la Musica Vocale. Ha tenuto oltre 1300 concerti di cui 270 con coro e orchestra.
Attualmente svolge un lavoro didattico di preparazione vocale per i vari generi musicali.
Convinto assertore dell’importanza che la musica riveste nella formazione dell’individuo, ha collaborato con diversi gruppi corali, realizzando programmi con coro e orchestra quali: Requiem di Mozart, Verdi, Cherubini, Faurè; Messe: Theresienmesse di Haydn, Messa in C di Mozart, Gloria e Credo di Vivaldi ecc.
Ha collaborato con artisti di fama internazionale e ha curato la preparazione di tanti giovani, avviandoli ad affrontare il travagliato, ma pur sempre affascinante, mondo della Musica.

Riferendomi al M° Pasut penso di rivolgermi a persone che lo hanno conosciuto personalmente, perché parlare di Lui attraverso lo scritto è veramente riduttivo e sterile.
Il contatto diretto con la sua persona mi ha immediatamente affascinato e coinvolto. Il primo incontro risale a tantissimi anni fa all’Istituto “Manzato”, ma ho avuto modo di conoscerlo in maniera più diretta quando è stato direttore del Conservatorio a Castelfranco. Da Lui ho imparato a leggere le circolari ministeriali e, attraverso i suoi segni (e correzioni), mi sono costruito un prezioso bagaglio nel settore della didattica che ho potuto trasmettere a tante persone (allievi e docenti) nei 25 anni di permanenza in Conservatorio.
Ho imparato:
la bella scrittura e la cortesia nel rispondere e ringraziare
la puntualità
l’imparzialità e la professionalità nel giudizio (musicale)
la capacità di mediazione
il significato, l’importanza ed il rispetto della famiglia
Ho raccolto da Lui tanti e preziosi consigli sulla Direzione Corale e sulla vocalità. Mi sono chiesto spesso il significato del suo “portare il fifi” e nel mio vocabolario ho collegato questo comportamento a queste caratteristiche:
una persona creativa, originale, sensibile e gentile.
Elegante, all’apparenza austero, ma ricco di umanità e di grande sensibilità, conserverò per sempre un bellissimo ricordo ed affetto per questo mio grande maestro.

agosto 2011

     
   
   

Testimonianza di Vittoria Erba

compagna del defunto Maestro Aldo Ghedin, allievo di Bruno Pasut

Del Maestro, uomo di grande intelligenza, straordinaria musicalità e profonda sensibilità, si potrebbero scrivere pagine e pagine, ma mi limiterò a riportare alcuni aneddoti che Aldo era solito raccontarmi.
La conoscenza con Bruno Pasut risaliva all’epoca in cui Aldo si iscrisse al Liceo Musicale “F. Manzato” quando chiese di essere inserito nella classe del Maestro, di cui apprezzava particolarmente la professionalità e l’abilità didattica. Dal canto suo il Maestro, riconoscendo in Aldo talento e volontà, profuse sempre generosamente il suo insegnamento. Le precarie condizioni economiche del giovane allievo gli ricordavano l’analoga, difficile situazione dei suoi anni giovanili e la grande magnanimità della sua prima insegnante di pianoforte, Prof.ssa Bindoni, che era solito andare a salutare al Camposanto in segno di perenne riconoscenza.
Il Maestro è stato anche un padre per Aldo che, durante tutta la sua vita, continuò a rivolgersi a lui per ottenere preziosi consigli sia per la sua attività di musicista e organista, sia per alcune difficili situazioni familiari. Aldo raccontava che quando gli fu proposto l’incarico di organista titolare presso il Duomo di Como, il Maestro Pasut si offrì di accompagnarlo per valutare assieme a lui le condizioni contrattuali.
Che bella questa grande stima e considerazione per il proprio Maestro!
Non potrò mai dimenticare il grande appoggio morale che il Maestro offrì anche a me in occasione delle esequie di Aldo e l’affettuosa accoglienza che lui e la sua famiglia mi riservarono durante un mio breve soggiorno a Treviso. Sono stata considerata come una figlia, ricolmata di attenzioni e premure e addirittura allietata, al risveglio, con dolci melodie suonate al pianoforte.
Il Maestro ha dedicato la sua vita all’arte sublime della musica, ma anche alla sua meravigliosa famiglia: all’amata consorte e alle adorate figlie delle quali andava fiero. Di uomini e maestri come lui ne avremmo veramente bisogno per dare maggior valore alla vita e rendere il mondo migliore.
Sono convinta che ora, lassù, nella gloria di Dio, continua il suo instancabile lavoro di maestro con gli angeli.
Mi sento fiera, orgogliosa e, direi, privilegiata per averlo conosciuto.

maggio 2012

     
   
   

Conversazione con Don Romano Roncato

a cura di Andrea Oddone Martin

Don Romano, amico e quasi coetaneo di Bruno Pasut, lascia una testimonianza nel ricordo del musicista e dell'uomo.
Pasut ha conosciuto Don Romano quando era organista al Duomo di Treviso e lavorava con il mitico M° Giovanni D'Alessi, che era il Direttore del Coro dei Seminaristi del Duomo. Pasut era rimasto molto impressionato dal timbro e dalla potenza della voce di quel seminarista: la loro amicizia è nata così e questo legame di amicizia e di stima è stato molto profondo.
Don Romano è stato inoltre per lungo tempo il padre spirituale della signora Vittorina, moglie di Bruno Pasut.

Credo sia meglio iniziare con un inquadramento di tempo e di luogo. Il Maestro era del 1914, quindi più anziano di me di quattro anni dato che io sono del ’18. Ricordo di averlo visto e incontrato molte volte fin da quando, mi sembra, io ero ancora chierico.
Era giovanissimo quando ha ricevuto l’incarico di organista al Duomo di Treviso. Io, ancora piccolo, mi sono incontrato con l’organista Fuser, suo predecessore ed è durante il mio curricolo che è stato sostituito dal Maestro Pasut: dapprima ero una voce bianca, un soprano, poi sono diventato baritono, o meglio basso. Quando ero chierico, il Maestro D’Alessi approfittava della mia inclinazione per la musica, anche se ero un autodidatta, e mi diceva: “Mi guidi i soprani?” e io facevo da guida ai soprani. A quei tempi si realizzavano delle belle esecuzioni, delle ottime esecuzioni.
Ricordo anche che il Maestro Pasut era molto, molto affezionato al Maestro D’Alessi; aveva una grande stima, quasi un’ammirazione per lui, perché ha avuto un posto di rilievo nella storia nella musica trevigiana ed è arrivato a preparare e ad incidere Gabrieli ed Asola. Credo che questi due nastri siano stati preparati dal Maestro D’Alessi con la collaborazione e la presenza di Bruno. D’Alessi ha studiato i manoscritti di questi maestri e ha fatto una ricerca notevole nella biblioteca dei canonici. Spesso interpretava perché mi diceva che a volte la scrittura doveva essere un po’ “capita” e parecchi di questi brani sono stati revisionati proprio da lui. Bruno mi ricordava spesso questa vicenda perché considerava questa sua collaborazione con D’Alessi quasi un vertice, un punto di arrivo.
Una delle ultime volte che l’ho incontrato, quando allora frequentava la chiesa del Sacro Cuore, mi disse: “Sai, Don Romano, quelle cassette non si trovano più. Quelli che le hanno acquistate se le tengono strette, con gelosia”, per farmi capire che erano proprio innamorati di quello che era stato fatto.
Aveva un grande affetto, un amore per il Maestro e credo sia stato ricambiato: D’Alessi era un po’ il burbero benefico, ma lo aveva a cuore. Quando ero chierico vedevo che tra i due c’era questo rapporto cordiale e allo stesso tempo di stima e considerazione reciproche. Era molto bello vedere questo e poi il Maestro D’Alessi aveva naso per i suoi collaboratori e viceversa.
Quindi, fin da giovanissimo Bruno ha saputo apprezzare le persone che si adoperavano nel mondo musicale.
Ma poi non so quando sia stato sostituito.

Dalla biografia e dai suoi ricordi si evince che il Maestro Pasut servì come organista presso varie parrocchie della zona; la sua famiglia non era certo benestante e quindi lui cercava di “lavorare” con la musica mentre faceva anche il garzone e altre attività.
Pasut era tra i più richiesti qui a Treviso e, sostanzialmente, ha lasciato l’incarico di organista del Duomo quando è andato a fare il Maestro sostituto di coro al Teatro la Fenice; poi andò a Rovigo prima della guerra a dirigere il Liceo Musicale “Venezze”. Credo poco prima di essere andato al Teatro la Fenice, poco prima della guerra…

Penso immediatamente prima della guerra. Io ho celebrato la messa nel ’42 e non ricordo che fosse già stato sostituito, forse durante la guerra… Quando io sono stato consacrato prete, lui concluse questa attività e iniziò a prendere diversi incarichi, diverse promozioni. Quando abbiamo maturato la nostra amicizia, lui era giovanissimo e io ancora più giovane; abbiamo poi entrambi proseguito per lidi diversi, nel corso del mio incarico pastorale io ho navigato verso varie parrocchie, ma ogni volta che mi incontrava era sempre felice di fare una battutina o di domandarmi come andavano le cose.

Una persona gioviale, insomma…

Sì, certo! Io sono tornato a Treviso dopo 18 anni; ho fatto i primi sei anni di cappellano a Sant’Agnese, dentro le mura, poi ho fatto cinque anni a Campo San Piero, e dopo sette anni a Montebelluna. Avevo sempre il mio coro, sempre delle attività, ricordo che nell’immediata stagione dopo il bombardamento nel ’44, la stessa corale del Duomo era andata un po’ sfasciandosi e il Maestro attingeva diversi elementi da tante parrocchie diverse. Non so se nell’immediatezza della Pentecoste o prima della stessa Pasqua, non ricordo, incontrai il Maestro D’Alessi e mi disse: “Senti Don Romano, puoi venire con la tua scuola di Sant’Agnese al Duomo doman l’altro per la festa? Perché io qua sono un po’ nei guai.” “Beh, Maestro se vi accontentate di quello che possiamo fare in questa stagione di vacche magre…”. “Se non avessi avuto fiducia non te lo avrei domandato”. Il solito burbero con la battuta pronta. E mi pare appunto che Pasut già non ci fosse più, perché io portai il mio organista.

Quindi, se era subito dopo il bombardamento, nel ’44, lui era ancora a Rovigo e andava avanti e indietro in bicicletta con peripezie inenarrabili perché c’erano i rastrellamenti, i bombardamenti aerei, i tedeschi…

Eh sì, infatti ricordo che essendo cappellano a Sant’Agnese fino al ’48 ho vissuto in pratica tutta l’epoca della guerra e subìto i bombardamenti entro le mura e il mio parroco, Don Luigi – un prete molto coraggioso nella sua chiesa ma con una paura tremenda degli allarmi – quando gli dicevo: “Signor parroco vado a salutare mio papà e i miei fratelli” che abitavano e abitano tuttora ad Albaredo, lui mi rispondeva: “Beh, Romano, vai vai, ma ti raccomando stasera torna, per piacere”. Mi considerava un po’ il suo bastone, la mia presenza era per lui un sostegno data anche la mia spensieratezza: avevo 26-27 anni.
Ecco perché capisco anche i viaggi pericolosi del Maestro Pasut; ricordo che anch’io dovevo stare molto attento per via dei mitragliamenti lungo le strade, lungo la ferrovia Treviso-Castelfranco-Vicenza.

Era anche il periodo in cui i tedeschi si stavano ritirando e dunque buttavano giù i ponti… e Pasut andava a Rovigo a insegnare in bicicletta.

E io ricordo che, rientrando, lo incontravo periodicamente o in seguito a una programmazione di concerti di qualche suo collega.

In quegli anni si è anche sposato, precisamente nel ’45, e ha avuto l’incarico di direttore dell’Istituto Manzato. Ha lasciato Rovigo ed è venuto qui a Treviso; quindi lei avrà avuto occasione di incontrarlo spesso.

Il ricordo che ho di lui è di una persona molto cordiale, molto contenta di incontrarmi, desideroso di sentire cosa combinavamo noi – gli amici di un tempo – cosa si faceva in queste parrocchie con i nostri ragazzi e i giovanotti delle scholae cantorum delle nostre chiese.
Poi io sono tornato definitivamente qui a San Liberale. Sono stato il primo parroco e ho visto crescere la mia chiesa. Dal 1960 in poi, per quasi una quarantina d’anni, sono rimasto qua. Per questo ci trovavamo ma sempre con quella cordialità caratteristica da parte sua; non era cambiato come certe persone che, arrivate ad un certo livello, quasi fingono di non accorgersi della tua presenza. Lui no, era molto alla mano ed è un segno di maturità e di intelligenza. Sempre benevolo anche nei confronti di colleghi o di maestri che si proponevano con qualche concerto.
Rammento in San Nicolò un concerto, ormai alcuni anni fa, non so se ricordo male ma credo che il soggetto fosse un oratorio di Perosi; gli esecutori erano i solisti e i cantori del coro di Montebelluna con Don Gildo Tessari: c’erano un bel tenore e un soprano validi, ma un mezzo soprano… un po’ scadente, diciamo. Pasut ed io eravamo seduti vicini e quando entrò il mezzo soprano per la sua esecuzione, per un po’ lui tacque, ma poi si avvicinò e mi disse. “Eh ciò, Don Romano, me par che semo scarsetti qua.” Ma subito aggiunse: “Però complessivamente bisogna valutare l’impegno di tutto il coro”. Quindi non era una persona alla quale tutto andava bene, però sapeva valutare bene le cose. Aveva un cuore buono: una valutazione, un risolino e poi una complessiva valutazione positiva nel riconoscere l’impegno, la fatica e anche il merito. Sono tanti piccoli segni di maturità e di intelligenza di una persona vissuta che ha avuto esperienze sia positive sia negative, un uomo che ha fatto esperienze di fatica, di difficoltà e quindi una persona che valuta e apprezza e sa stimare il merito degli esecutori che si impegnano.
Negli ultimi tempi, ricordo di averlo incontrato tre o quattro volte quando, saltuariamente, negli ultimi dieci anni nel periodo del mio pensionamento, andavo a fare una sostituzione per una messa al Sacro Cuore. Ricordo che attendeva che io andassi a deporre la veste sacerdotale in sacrestia: io sapevo che mi aspettava, arrivavo e voleva salutarmi e fare due chiacchiere.
Da prete, oltre che da amico, ho sempre apprezzato la sua sensibilità di uomo di fede; aveva una sua fede matura e, riconsiderando le cose indietro nel tempo, ho anche apprezzato questa persona che si è dedicata fin dai primi anni della sua gioventù anche alle celebrazioni liturgiche ma che, sostenuta dalla sua conoscenza religiosa, adempiva a questo impegno anche godendo della partecipazione, dell’interpretazione del significato, del momento misterico, del momento religioso, insomma.
Era una persona ricca, secondo me, oltre che di cultura, anche di fede, una fede praticata.

5 novembre 2009

     
   
     
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